venerdì 29 ottobre 2010

dove il cielo è già lavanda

dentro quella palla di fuoco e fiamme che ancora ci ostiniamo a chiamare sole, ti vedo come l'uomo vitruviano, solo che con meno gambe. lontano a sufficienza per non bruciarti, ma vicino abbastanza per scompigliare l'erba dei prati con le tue mani. non c'è strada che porti già dove vorrai arrivare e non c'è edificio bianco come vorresti tu: sbagliamo sempre, noi, ed è un lavoro a tempo pieno. non esiste uno spray isolante da usare per farci meno male, meno bene, siamo lenzuoli bianchi stesi ad asciugare sui tetti nel centro di shangai e non passa un minuto senza che veniamo affumicati da quello smog nero che ci vendono al mercato come carbone e nei distributori automatici, sciolto, lo beviamo e sa di petrolio.
non è il momento di essere infelici perchè il tramonto è dopotutto l'alba di un nuovo giorno per qualcuno un po' oltre l'orizzonte - basta crederci davvero e saremmo meno egoisti col nostro tempo; insomma tu ti guardi intorno e spezzi il ramo gelido di un pioppo rinsecchito e lo usi come stuzzicadenti, come se fosse la cosa più normale del mondo. faccio in tempo a distrarmi perchè poco più in là, dove il cielo è già lavanda, si alza ciondolando una mongolfiera, non vedo i colori ma controluce distinguo nettamente il contorno e mi sembra di intravvedere -ma forse sto solo inventando pescando dai miei desideri- la capigliatura riccia di un bambino alto poco più di un metro e un disco in vinile. penso di scattare una fotografia ma poi non saprei a chi mostrarla, rinuncio. allora metto le mani dentro la terra già fredda, prima una poi l'altra, più a fondo. allora tu, senza nemmeno aspettare che la canzone finisca, prendi il tuo ramo-stuzzicadenti e buchi quel pallone d'aria calda.

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