mercoledì 26 marzo 2008

metropolitana

la metropolitana di milano è un luogo strano, un mondo a sè con proprie regole e paesaggi di gomma nera e odore di freni bruciati. essendo troppo raffreddata per poter immergermi nella lettura di benni, come sempre finisco col fissare le scarpe delle quattro donne sedute davanti a me. e dalle scarpe immagino prima destinazioni, poi motivazioni, sensazioni, vite. quella ragazza per esempio indossa stivali di pelle costosi ed una borsa estremamente in tinta, è ben truccata, ma si nasconde dietro uno di quei quotidiani gratuiti distribuiti in centro. quella di fianco è lei è più giovane, porta dei grossi occhiali da sole anche quaggiù, occhiali griffati che stonano con le scarpe da tennis consumate (l'ha fatto apposta?). ancora più in là, vedo una signora sulla quarantina che sfoglia un mensile per donne, infastidita dal volume del lettore mp3 della ragazza precedente. scarpe nere, anonime, tacco basso perchè non le facciano male i piedi tra dieci minuti. scelta saggia. per ultima, una ragazza alla quale non so dare un'età, capeli corti biondo cenere, è un po' robusta e indossa questa fantastica gonna lunga, rosa chiaro, e sopra un giubbotto di pelle. mi soffermo su di lei e ci vedo una cantante. poco prima di scendere alla mia fermata, un'amica le parla di un concerto in un qualche teatro milanese. sorrido, porte che si chiudono dietro di me.
un bel po' di anni fa avevo scritto qualche riga su questa strana ragnatela sotterranea...

Veder scorrere uno sciame di vite
nell'atmosfera assonata.
sei un viaggiatore
ma privato
della tua identità,
truffato dall'aroma di zefiro
che
ingannevole
danza nell'aria.

Incrociare centinaia di occhi
- provare a sorridere,
ridere -
sperando di lasciare una
traccia.
una tela
tessuta
sottoterra
diventa trappola letale per chi ha
paura del tempo,

[squallido inganno al sole]

domenica 16 marzo 2008

perdersi

l'altro giorno mia mamma lodava ad occhi sgranati l'esistenza del navigatore satellitare che, in effetti, l'ha condotta sana e salva fino a torino (e ha permesso al gatto di mia sorella di ricevere le migliori cure dell'universo). "ma ti dice lui quando devi girare!!" . eh già. quale invenzione. una mano elettronica che ti conduce in ogni antro finora sconosciuto senza farti temere nulla, perchè LUI SA, sa dove devi andare, e soprattutto, sa come ricondurti a casa. c'è da fidarsi, insomma.
più tardi ho pensato alle migliaia di volte in cui mi sono persa in strade sconosciute, in posti sconosciuti, di giorno, di notte, con sole o temporale a benedire quei viaggi, con accanto qualcuno che non si stanchi di dipingere qua e là un sorriso. ho apprezzato le mille risate fatte nel tentativo di ritrovare la via di casa, le piccole grida di gioia, di illusione del "stavolta ci siamo, me lo sento", i cartelli che si contraddicono facendoti intendere che il posto che cerchi non esiste, la benzina che sembra essere sempre troppo poca, la stanchezza che aumenta in proporzione, le indicazioni chieste vergognandosi un po' a personaggi folli che camminano per strada (e ti chiedi, chissà se loro una meta ce l'hanno, se hanno qualcuno da cui stanno tornando, o qualcosa da cui scappare, e allora forse ci stanno solo chiedendo di poter venire con noi, dove ancora non lo so.). e in tutto ciò magari ci scappa anche un ricordo, come, che ne so, in lontananza il colosseo illuminato di notte.

(i romani sì che avevano capito tutto in fatto di punti fermi.)

giovedì 13 marzo 2008

condanna al silenzio

l'ultimo post di jacopo e un rapido calcolo sull'intermezzo temporale che spesso trascorre tra un mio post e il successivo mi ha portato a pensare, oltre al "ruolo" che ognuno associa al proprio blog, ai propri "scritti" per essere più generici, al modo in cui si sceglie di dar loro una forma. e non al modo... stilistico, grammaticale, intendo...
dopo la generazione x, noi, la generazione ipod (sì perchè siamo ahimè già stati soppiantati dalla generazione iphone), abbiamo: un blog, spesso e volentieri. uno o più telefoni cellulari coi quali possiamo interagire con amici e nemici vicinissimi e lontanissimi, snocciolando perle di saggezza o semplici lamentele. un moleskine, quel rettangolo nero tanto poetico che rimbalza nelle nostre borse e zaini e affronta tanti chilometri quanti ne facciamo noi. vecchia carta da lettere, o fogli bianchi rubati alla stampante, sui quali veder scorrere inchiostro invece di pixel. una macchina fotografica, che trasformi in colori e contrasti la poesia che ci incanta davanti agli occhi. un lettore mp3, che scelga per noi la colonna sonora dei nostri momenti.
e via dicendo. condanna al silenzio e ai pensieri solitari, non fermati e imprigionati, lasciati nascere crescere e svanire così come sono, nella bolla del nostro io.
mi capita, prima di addormentarmi, di venire avvolta da un'immagine che in qualche modo mi piacerebbe trascrivere. ma lasciandola scivolare nei sogni, so di riportarla alla sua vera aria.