sabato 10 settembre 2011

lasciar passare

fa impressione, lasciar passare un'estate, lasciar passare le persone.
stare immobili, dopo tanto camminare.
perché è quello che ho fatto, alla fine: camminare. mettendo un piede dopo l'altro, dopo l'altro, dopo l'altro, fino ad arrivare ad un tetto diverso ogni sera, ad un risveglio nuovo ogni mattina. poi ho camminato nuovamente ma in salita, perché c'era il cielo lassù da sfidare, poi ho camminato sempre più veloce, per sentire più corto il respiro, più tesi i muscoli.
quello che rimane ora sono io, il resto gira in cerchi che non riesco a toccare, e osservo prendendo le distanze. non resto al centro come un sole importante intorno al quale si muovono pianeti che hanno bisogno di me: rimango qui come un sasso lanciato in un fiume placido, che nessuna corrente sconvolgerà. che nessuna nevicata proteggerà.
non giuro più, perché neanche io ci credo adesso. guardo avanti come si guarda ad uno specchio. guardo indietro come si guarda ad un'ombra. e così tic, infilo una riga dietro l'altra, toc, cerco una boccetta d'inchiostro in cui potermi dissetare.

venerdì 3 giugno 2011

arancione come il cielo

questo arancione di cui s'è tinta milano è come una scossa elettrica.
e stavolta non era solo cronaca ritratta da foto del sito di repubblica.it, brevi filmati anonimi su youtube, link frettolosi pubblicati su facebook.
questa volta c'ero dentro, perché sentivamo il bisogno e il dovere e la voglia di esserci dentro. ho preso auto, metropolitana, treno, bicicletta, mi sono vestita d'arancione, ho portato palloncini, tenuto teloni, alzato le mani al cielo, abbracciato sconosciuti, ho dormito poco, mi sono bagnata di una pioggia che non avevo mai visto tanto rigenerante (seguita da un surreale e profetico doppio arcobaleno), soprattutto ho riso e gridato e ballato e cantato, e ascoltato TANTO - parole di chi la pensa come me, parole di chi non la pensa come me e mi aiuta a capire perché. non so se queste piazze resteranno nei libri di storia: lo spero tanto, perché le facce che ho visto sono tutte così pulite da meritarsi d'essere incorniciate una ad una; so però di per certo che resteranno nella mia di storia, che mi ricorderanno come si fa ad essere appassionati, come si fa ad essere convinti, creativi, rispettosi, gioiosi, ironici, bellissimi.




sabato 30 aprile 2011

piombo

per alcuni mesi durante la scuola media ho sofferto di una gastrite ("cronica": l'aggettivo che tutti i medici appiccicano a qualcosa che non sanno esattamente come curare); ricordo che mi aveva letteralmente intontito mancare da scuola per settimane, in un periodo così delicato nel quale si va alla ricerca della propria individualità in mezzo al gruppo (in mezzo al nulla, direi ora). era inoltre probabilmente la prima volta in cui mi ritrovavo responsabile di gestire il mio corpo attraverso un dolore fisico, perlopiù insensato e difficilmente descrivibile. come sempre il modo migliore che avevo per descriverlo era attraverso una metafora e in particolare parlavo di questo pugno di piombo all'altezza dello stomacoche non mollava mai la presa.
alle superiori mi ha tenuto invece compagnia per più di due inverni la sinusite ("cronica" anch'essa, bien sûr), essenzialmente qualcosa da cui è difficile avere tregua se non nel sonno. serate di pentole d'acqua bollente e camomilla e asciugamani caldi sulla fronte. quello che sentivo e che cercavo di spiegare ai miei genitori, invocando tranquillità (invocando attenzione, direi ora), era che una pesante biglia di piombo aveva deciso di crescere nella mia fronte all'altezza degli occhi, e si spostava lentamente e dolorosamente ad ogni movimento della testa.
adesso il chiodo che sento è dalle parti del cuore e, se fosse una malattia, sarebbe certamente curabile. se fosse una metafora, sarebbe un proiettile di piombo. con un dolore si impara a convivere mi dicono (non credo, dico ora - ma tutti ci sentiamo speciali in questo campo).

mi fermo, e mi sembra che qualcosa per una volta abbia un senso compiuto: quando da adolescente vivevo di pancia, di soli istinti e ribellioni, ne soffrivo. poi il tempo è passato e ho iniziato a vivere di testa, soppesando sulla bilancia azioni, relazioni, emozioni; anche in quel caso mi è andata male. ora che è scoperta la sola cosa che ho tentato di proteggere, il cuore, non mi resta altro che bruciare lì.

domenica 10 aprile 2011

c'è un conto alla rovescia per ogni settimana

venerdì mattina mi sono alzata, ho preso la bicicletta e sono uscita sotto un sole cocente a comprare il fatto quotidiano, per poi leggerlo seduta sotto un pesco in fiore. ho preso il treno e sono andata in centro a milano per ridere perdutamente con un amico importante, tornando a casa con una gonna piena di fiori, come una firma in calce al contratto con questa inaspettata primavera. abbiamo cenato a gambe incrociate guardando il cielo diventare blu notte sopra la facciata della Scala. la sera ho visto vasco brondi esagerare con le chitarre e le luci colorate, farmi muovere i piedi e le labbra a seguire stralci di poesie come preghiere solitarie.
e le comete come te.
sabato mattina ho preso il treno per genova e alla stazione di pavia è arrivato il sole vero, quello con gli occhi verdi e repubblica sotto il braccio. c'è stata la focaccia, i vicoli, due vestiti uguali e diversi quanto noi, il mare, il vino bianco - regalarci tempo per non perderlo, far scivolare maschere per tornare a interpretare noi stesse.
che poi non parti davvero finchè semini sassi sul sentiero che ti porta via da te.
domenica mattina ho impastato la focaccia e infornato 12 muffins al cioccolato, di cui uno pronto per una candelina azzurra colma di desideri. tra tovaglie a stampa con ribes e trifogli ho ritrovato legami annodati, e pochi dubbi su dove appoggiare le piante dei piedi.

venerdì 25 marzo 2011

oggi non riesco a dare nomi ai pensieri

oggi non riesco a dare nomi ai pensieri è una frase che penso chiudendo gli occhi in metrò e penso nuovamente la sera tardi, infilando una felpa molto più grande di me, piena di profumo.
come se per una volta i pensieri contassero più dei suoni. e gli occhi valessero più dei sapori. per questo per quanto mi sforzi non riesco ad associare pensare e dire, volere e agire. anche mentre salgo per una scala contando a mente i gradini, mi perdo.
come si perde una fine di marzo.
musica, nuda. che alza il volume mentre chiude le finestre.
i primi petali timidi, il primo raggio di sole bollente sul collo, i primi piedi nudi della stagione.
la schiuma del caffè sul labbro superiore.
cantare per strada per essere stonati, fare la fila da luini, tracciare una riga immaginaria su di un planisfero.
giocare con le incertezze come si gioca con le biglie.

domenica 13 marzo 2011

mar adentro

non lo so dove eravamo ma eravamo noi, con le dita dei piedi nell'acqua sempre troppo a lungo e le caviglie in acqua solo quando arrivano le onde, piccole e schiumose. tu mangiavi una fetta di melone con gli occhi chiusi e a me sembrava così stupido tenere gli occhi chiusi davanti al mare, ma non te l'ho detto. forse ti piace più sentirne soltanto il profumo e allora il mio commento sarebbe stato superfluo. superfluo come il tuo tentativo ad occhi chiusi di non mangiare granelli di sabbia, insieme al melone. -domani è ancora troppo presto per andarcene- mi dici, e per un istante non capisco se è una tua solita massima di vita gettata al vento o se, invece, stai parlando davvero di noi. -vorrei almeno aspettare che arrivi la pioggia, altrimenti che senso ha?- allora capisco che stai parlando di spostamenti reali, e stai prendendo tempo perchè non hai ancora finito di provare tutti i dolci al cioccolato del panificio all'angolo. ti do ragione distrattamente mentre raccolgo un pezzetto di vetro verde reso simmetrico e tondo dal lavoro continuo dell'acqua.
"da piccola credevo che questi fossero sassi magici che i pesci portavano a riva perchè noi poi li potessimo trovare e tenere in tasca"
"hai sempre creduto a tutte le favole che ti hanno raccontato, cazzo"
ho fatto scivolare il vetro morbido tra le dita dei piedi, senza dargli importanza, e l'altra mano l'ho passata nei capelli bagnati e salati.
poi me lo ricordo dove eravamo - me lo ricordo come ci si ricorda di respirare, con la stessa, naturale, urgenza. eravamo in Galizia, e tu volevi restare perchè prima di allora non avevi mai sentito un vento così ostinato e contrario come te.

martedì 1 marzo 2011

di sorrisi non ne fai e ti piace maltrattare

febbraio è passato come passa un pettine nei capelli senza nodi. un mese scivoloso, di pioggia di penna stilografica e di caffè, che i sanpietrini per terra provano a trattenere. libri, gatti e cucina hanno dato i ritmi a queste giornate che restano fredde ma corrono verso un assaggio di luce da esser gelosi; e in questi giorni quadrati imparo lentamente ad innamorarmi di questo luogo a tratti velenoso che è la lombardia, ventre piatto di acqua e pianure, pancia di balena affamata e disperata.
più che un guadagno, è una sfida: ad attraversare la toscana e a commuovermi per quelle colline sinuose ci metto sempre poco, attraversare la lombardia invece è un'imprecazione continua, un abbassare gli occhi davanti a traffico, fabbriche e cemento - o alzare gli occhi e trovare un muro di nebbia. per questo ci fanno nascere qui e poi non ci insegnano come fare per amare questi luoghi, come imparare a svoltare per la strada giusta e trovare un mare giallo di colza o un ciliegio in fiore, il ticino con le spiagge di vento e luna e falò. la scoperta diventa come un parto, ingiustamente eterno, di grida e bestemmie contro un grigiore che nessuno vuole meritarsi. si sputa a terra finchè un pugno ben assestato non ci costringe ad alzare gli occhi al cielo e a dipingerlo allora di un altro colore, più morbido, sopra un bianco assordante come di inizio pagina.

sabato 29 gennaio 2011

"ho qualcosa al cuore"

quando un'Amica mi ha scritto "ho qualcosa al cuore" è stato come quando mia mamma mi ha detto "ho qualcosa al cuore": avrei voluto rispondere "anche io mi sa che ho qualcosa al cuore, mi si è appena spezzato un po'." - si finisce col relativizzare tutto, ovviamente. le decine di ore passate a studiare per un esame diventano polvere e al loro posto arrivano altri bisogni, più imminenti, più concreti: la visita al museo del cinema di torino, un concerto a londra, un altro bagno a camogli di mercoledì mattina, una vetta che sembra troppo alta ma quest'estate chissà.
l'anno scorso ho scoperto che posso dormire meno, avere spalle più larghe, guidare più veloce, introiettare un dolore. non posso invece più fingere: preoccupazione, indifferenza, curiosità.

domenica 16 gennaio 2011

a / r

non sempre restare è più facile che andarsene. non sempre restare è una copertura, non sempre è una coperta, non sempre vuol dire essere i più deboli e nemmeno essere i più forti (la lotta, poi, non finisce mica). restare non equivale a combattere sul campo - andarsene non equivale a sputare sulla propria casa. l'identità di una terra è una croce ed un dono. l'identità non è geografica nè spaziale. è una mappa di noi che acquista valore solo quando viene persa. prima, è scontata.

vieni, vieniviaconme.

mercoledì 15 dicembre 2010

pezzi

pezzi di ciò che amo in un giorno qualsiasi di dicembre:

sfrecciare col treno in mezzo a infiniti prati colmi di brina ghiacciata, in un mondo bianchissimo dove la natura là sotto sta riposando.
il duomo di milano illuminato che si staglia orgoglioso contro un limpidissimo cielo blu notte.
indossare un cappello così stupido da far sorridere le persone per strada.
indossare una gonna alla quale è cucita addosso una storia sconosciuta.
confezionare regali dolci.
avere idee.

venerdì 29 ottobre 2010

dove il cielo è già lavanda

dentro quella palla di fuoco e fiamme che ancora ci ostiniamo a chiamare sole, ti vedo come l'uomo vitruviano, solo che con meno gambe. lontano a sufficienza per non bruciarti, ma vicino abbastanza per scompigliare l'erba dei prati con le tue mani. non c'è strada che porti già dove vorrai arrivare e non c'è edificio bianco come vorresti tu: sbagliamo sempre, noi, ed è un lavoro a tempo pieno. non esiste uno spray isolante da usare per farci meno male, meno bene, siamo lenzuoli bianchi stesi ad asciugare sui tetti nel centro di shangai e non passa un minuto senza che veniamo affumicati da quello smog nero che ci vendono al mercato come carbone e nei distributori automatici, sciolto, lo beviamo e sa di petrolio.
non è il momento di essere infelici perchè il tramonto è dopotutto l'alba di un nuovo giorno per qualcuno un po' oltre l'orizzonte - basta crederci davvero e saremmo meno egoisti col nostro tempo; insomma tu ti guardi intorno e spezzi il ramo gelido di un pioppo rinsecchito e lo usi come stuzzicadenti, come se fosse la cosa più normale del mondo. faccio in tempo a distrarmi perchè poco più in là, dove il cielo è già lavanda, si alza ciondolando una mongolfiera, non vedo i colori ma controluce distinguo nettamente il contorno e mi sembra di intravvedere -ma forse sto solo inventando pescando dai miei desideri- la capigliatura riccia di un bambino alto poco più di un metro e un disco in vinile. penso di scattare una fotografia ma poi non saprei a chi mostrarla, rinuncio. allora metto le mani dentro la terra già fredda, prima una poi l'altra, più a fondo. allora tu, senza nemmeno aspettare che la canzone finisca, prendi il tuo ramo-stuzzicadenti e buchi quel pallone d'aria calda.

giovedì 14 ottobre 2010

andare incontro ad una città sconosciuta


andare incontro ad una città sconosciuta è come presentarsi ad un appuntamento al buio. lo stesso mal di pancia da affrontare. la scelta degli abiti, delle scarpe giuste. identico è il timore di venire delusi dopo qualche minuto di conversazione e quello - ancora peggiore - di poter cadere ai suoi piedi troppo in fretta, gettando nel fuoco una ritrovata falsa stabilità. ingenuo è chi crede di poter controllare una reazione / le pupille dilatate, i battiti delle ciglia, le mani che scorrono nervose sui fianchi / come chi crede d'altronde di poter costruire una relazione ad un solo senso: da una città devi soprattutto imparare a farti amare, per non restare soltanto una pedina di plastica gialla a squagliarsi sui marciapiedi.
così penso a barcellona, qualche ora prima di partire.
penso all'odore che può avere e a che ritmo respirerà.
di che verde saranno le foglie dei suoi alberi e se ci saranno per strada fontanelle d'acqua pubblica.
è una città sulla quale tutti hanno qualcosa da dire e che proprio per questo motivo ho deciso di non provare ad immaginare - l'unico desiderio che ho è che sia per me una cascata di colori.



" E' delle città come dei sogni: tutto l'immaginabile può essere sognato ma anche il sogno più inatteso è un rebus che nasconde un desiderio, oppure il suo rovescio, una paura.
Le città come i sogni sono costruite di desideri e di paure, anche se il filo del loro discorso è segreto, le loro regole assurde, le prospettive ingannevoli, e ogni cosa ne nasconde un'altra. "
( le città invisibili - italo calvino )

domenica 18 luglio 2010

il cielo


Da qui si doveva cominciare: il cielo.
Finestra senza davanzale, telaio, vetri.
Un'apertura e nulla più,
ma spalancata.

Non devo attendere una notte serena,
né alzare la testa,
per osservare il cielo.
L'ho dietro a me, sottomano e sulle palpebre.
Il cielo mi avvolge ermeticamente
e mi solleva dal basso.

Perfino le montagne più alte
non sono più vicine al cielo
delle valli più profonde.
In nessun luogo ce n'è più
che in un altro.
La nuvola è schiacciata dal cielo
inesorabilmente come la tomba.
La talpa è al settimo cielo
come il gufo che scuote le ali.
La cosa che cade in un abisso
cade da cielo a cielo.

Friabili, fluenti, rocciosi,
infuocati e aerei,
distese di cielo, briciole di cielo,
folate e cumuli di cielo.
Il cielo è onnipresente
perfino nel buio sotto la pelle.

Mangio cielo, evacuo cielo.
Sono una trappola in trappola,
un abitante abitato,
un abbraccio abbracciato,
una domanda in risposta a una domanda.

La divisione in cielo e terra
non è il modo appropriato
di pensare a questa totalità.
Permette solo di sopravvivere
a un indirizzo più esatto,
più facile da trovare,
se dovessero cercarmi.
Miei segni particolari:
incanto e disperazione.

da "Vista con granello di sabbia" di Wislawa Szymborska

mercoledì 14 luglio 2010

l'indispensabile

insomma, so che passerò il mio ventitreesimo compleanno ad istanbul, è già qualcosa.
poi, so che "questi 6 euro li dobbiamo risparmiare, che ci mangiamo non una ma TRE volte!" [.cit]
- che devo imparare a convincermi che l'indispensabile è ancora meno di quanto uno pensi; insomma, cominciare a togliere invece di aggiungere, perchè dopotutto in ogni angolo di mondo c'è un mercato dove comprare cipolle e patate.

lunedì 28 giugno 2010

cut / cut / cut

le donne con i capelli corti sono molto più pericolose.
non hanno un posto in cui nascondersi.
ma
- e dico ma
riescono anche a guardarsi intorno più chiaramente.